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Orario part time non modificabile anche se cambia l’assetto organizzativo

Il datore di lavoro non può modificare l’orario di lavoro del dipendente part time indicato nel contratto individuale anche se dovesse cambiare l’assetto organizzativo in modo tale da rendere incompatibile l’originario turno di lavoro con le esigenze aziendali. È questa la rigida conclusione cui perviene il Tribunale di Bologna interpretando in modo rigoroso i diritti costituzionali dei lavoratori a tempo parziale e ignorando completamente gli analoghi diritti costituzionali di funzionamento di un’impresa.

Il contratto di lavoro a tempo parziale al 50%, con cui è stata assunta una lavoratrice per svolgere la mansione di consulente telefonico, stabiliva espressamente che la durata della prestazione di lavoro, fissata in 19 ore e 10 minuti settimanali, pari a 3 ore e 50 minuti giornalieri, avrebbe seguito il regime orario e le matrici di turnazione indicate nella tabella allegata al contratto stesso. Quindi l’azienda ha agito correttamente nella fase di costituzione del rapporto rispettando le regole formali e sostanziali previste dalla legge. Il problema è nato successivamente.

A seguito di esigenze sopravvenute, l’azienda ha dovuto modificare la durata del servizio su tutto il territorio nazionale, eliminando tutte le matrici orarie e di turnazione esistenti e ha introdotto per il personale a tempo parziale al 50% ed al 75 % impiegato di pomeriggio una apposita matrice con unico turno fisso che risultava prossimo a quelli indicati nei contratti individuali e compreso all’interno della fascia oraria complessiva dei precedenti turni. La modifica dell’assetto organizzativo è stata oggetto di un accordo con le segreterie nazionali e con il coordinamento nazionale delle Rsu.

La lavoratrice, a seguito della comunicazione aziendale di variazione del turno di lavoro rispetto al contratto, ha contestato la scelta aziendale e ha evidenziato le sue particolari esigenze personali e familiari (assistenza familiari anziani, residenza in località periferica, difficoltà di parcheggio eccetera) che rendevano maggiormente oneroso e penoso il nuovo orario di lavoro, con conseguente danno di cui ha chiesto il ristoro.

L’azienda, di contro, ha evidenziato che la nuova articolazione oraria era l’unica possibile dopo la modifica organizzativa concordata con i sindacati in senso più favorevole per i lavoratori, perché riduceva la durata del turno serale. Secondo l’azienda, la lavoratrice confondeva evidentemente la fattispecie non consentita del mutamento unilaterale dell’orario di lavoro da parte del datore per il dipendente part time, da quella, viceversa consentita (anzi necessitata), dell’assegnazione del turno più prossimo a quello originario all’interno peraltro della medesima fascia oraria pattuita nel contratto, una volta divenuto, quello originario (fissato oltre 20 anni prima), oggettivamente impossibile per legittime (in base all’articolo 41 della Costituzione) modifiche all’organizzazione produttiva.

Il giudice giunge a conclusione che, in base ai principi generali, in mancanza di clausole di flessibilità inserite nel contratto, deve ritenersi necessario il consenso del lavoratore a ogni modifica degli orari della prestazione, come specificati nel contratto individuale di lavoro indipendentemente dalle cause che la originano e anche se concordato con le organizzazioni sindacali e anche se in quegli orari l’azienda non eroga alcun servizio e l’unità produttiva è chiusa.

Un profilo interessante che emerge dalla sentenza è rappresentato dal fatto che il giudice non accoglie la domanda di risarcimento del danno poiché dall’istruttoria svolta non è emerso alcun concreto pregiudizio in danno della ricorrente, conseguente alle modifiche orarie imposte anche tenendo conto che buona parte del tempo ha svolto il lavoro da remoto. Quindi, il giudice conferma le regole generali sul risarcimento del danno ribadendo il principio che esso va provato e non è in re ipsa, come altri Tribunali avevano affermato

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